Quello di oggi è un argomento molto delicato che più di qualche volta mi è capitato di trattare con diverse persone e che, mi rendo conto, affligge più di quanti a volte ne siano consapevoli: la dipendenza affettiva.
È vero che ognuno ha un suo modo di rapportarsi con il sentimento dell’amore e ognuno lo vive con sue caratteristiche specifiche basate su esperienze passate e sul proprio temperamento; però esistono degli elementi distintivi che mostrano un “amare” fragile, insicuro e – ahinoi – dipendente.
Ecco le risposte alle domande che più frequentemente mi sono state poste a riguardo; magari potrebbero interessare qualcuno a te molto vicino.
Quali sono le caratteristiche che rappresentano una dipendenza affettiva?
Be’, per quanto non si possa essere assolutamente precisi, perché tutto dipende sempre dalla singolarità dell’individuo, in genere l’amore dipendente è opprimente, lascia pochi spazi personali: si manifesta nei confronti del partner un tipo di attaccamento “ansioso”, si prova una continua necessità di sapere di essere amati e si cercano costanti conferme. Non si riesce a svolgere serenamente attività indipendenti e quando invece avviene, ci si sente “incompleti”, fino a una vera e propria sensazione di dolorosa mancanza. Come se non bastasse, il timore di non essere corrisposti nel modo che si vorrebbe, genera la paura di perdere l’oggetto del proprio desiderio e di conseguenza, si possono scatenare sproporzionate e frequenti gelosie.
Ok, ma se uno sta male in una relazione, tanto da sentirsi ansioso e insicuro, basta che tronchi tutto e via…
Non è sempre così semplice. La dipendenza affettiva porta alla falsa convinzione che senza la persona amata non si riesca a vivere bene (o a vivere affatto) e questo anche laddove si riconoscano mancanze e sofferenze nella relazione. È come se l’idea di rompere quel rapporto si trasformasse in qualcosa di impensabile e impossibile… quindi il ragionamento è: “Meglio stare male così, piuttosto che stare peggio senza di lui/lei”.
Quindi diventa come una droga?
Si può essere dipendenti da sostanze, alcool, gioco d’azzardo, lavoro, sport, cibo… ma anche dagli stessi rapporti affettivi. È questo il significato della dipendenza affettiva: uno stato patologico nel quale la relazione di coppia è vissuta come condizione unica, indispensabile e necessaria per la propria esistenza. Chi vive tale tipo di dipendenza attribuisce all’altro, l’oggetto dell’amore, una importanza tale da annullare se stesso, non ascoltando i propri bisogni e le proprie necessità… tutto ciò per evitare di affrontare la paura più grande: la rottura della relazione.
Quali sono le conseguenze di questa dipendenza?
Dipende molto dalla personalità di chi ne soffre. Se si parla di una persona con una bassa autostima, è possibile che, per paura di perdere l’altro, riesca a sopportare abusi o maltrattamenti (anche solo psicologici) senza opporvisi più di tanto.
Se invece si tratta di un temperamento tendenzialmente dominante, la sensazione di non essere ricambiati come ci si aspetta, genera frustrazione e delusione; da qui può scaturire la rabbia e il risentimento e si può sfociare in azioni come stalking o altri comportamenti ossessivi e/o violenti.
Pensare però che ogni forma di dipendenza di questo tipo porti a conseguenze tanto gravi è un errore: gran parte delle dipendenze affettive si manifesta in modo molto più “soft” e anche solo frasi come: “Facciamo quello che vuoi tu, per me va bene tutto mi basta stare con te”, “Non posso vivere senza di te”, “Sei la mia vita”, “Cambierò per te”, “Io sono tua/o”, se detti con piena e totale convinzione, mostrano i primi sintomi di questo male.
Ma è difficile capire, su se stessi, di trovarsi incatenati in rapporto basato sulla dipendenza affettiva?
Come in molte delle dipendenze, anche solo ammettere di esser caduti in una spirale più forte di noi diventa spesso complicato; la difficoltà sta anche nei modelli distorti di amore che possono far ritenere determinati abusi e sacrifici di sé come “normali”.
Nella maggior parte dei casi l’elemento più pericoloso, quello che “incatena” ancora di più alla relazione, è la speranza; attraverso questa il problema si cronicizza. Si spera in un cambiamento dell’altra persona che non avverrà, si spera che si modifichino le condizioni, che si trovi la forza interiore per dire “no”.
Così, paradossalmente, l’inizio del cambiamento arriva quando si raggiunge il fondo e si sperimenta la mancanza di speranza, che ha la grande funzione di far abbandonare tutte le illusioni che fino a quel momento hanno nutrito la relazione di dipendenza.
E se uno avesse capito di vivere un rapporto non sano e non riuscisse ad uscirne lo stesso, come potrebbe essere aiutato?
Probabilmente in questa fase si comprende che chiedere l’aiuto di qualcuno è necessario e ci si concede la possibilità di iniziare un percorso psicologico che porti a un cambiamento interiore e che dia poi, in futuro, la possibilità di creare un rapporto a due sano. Questo è il primo passo che porta a considerare la propria guarigione come una priorità che ha diritto di precedenza su qualsiasi altra cosa. Ci si può rivolgere ad uno specialista di fiducia e sono un’ottima soluzione per moltissime persone anche i gruppi di auto-mutuo-aiuto (es. CoDA), molto simili a quelli degli alcolisti anonimi, dove si sperimenta la libertà di parlare con individui che hanno vissuto la stessa esperienza di dipendenza e che sono intenzionati a lasciarsela alle spalle. Lì c’è piena anonimia e ci si mette in gioco in un ambiente non giudicante, ma anzi che, attraverso il confronto con chi vive o ha vissuto difficoltà simili, può aiutare a sperimentare modalità di relazione più efficaci e salutari.
E quando se ne esce, come si percepisce il rapporto a due?
Be’ vale anche qui sempre la soggettività di ognuno, ma generalmente l’obiettivo è la piena accettazione di se stessi (pur nella consapevolezza di poter migliorare alcuni tratti) e degli altri, senza la pretesa di volerli cambiare. Ci si riscopre assolutamente meritevoli di rispetto; l’autostima aumenta e non c’è più necessità di avere continue conferme esterne per stabilire il proprio valore. Quando ci si rapporta con un’altra persona in una relazione a due, si mantengono anche i propri spazi e le proprie amicizie e nel momento in cui si ci dovesse accorgere che quel rapporto provoca dolore, si accetta l’idea della rottura, probabilmente con sofferenza, ma anche con la consapevolezza che purtroppo rientra tra i fatti “naturali” della propria esistenza.
In parole povere, invece di essere una persona che ama qualcun altro tanto da soffrirne, si inizierà ad essere una persona che “ama abbastanza se stessa da non voler più soffrire” (cit).