È evidente che esistono persone con caratteri e caratteristiche comportamentali differenti e così – a volte troppo genericamente, ma in questo caso rende bene l’idea – nascono le categorie dei pessimisti, degli ottimisti, dei narcisisti, degli umili, dei superbi, degli egocentrici… e via, con tutti gli aggettivi con cui siamo soliti descrivere qualcuno che conosciamo.
Oggi voglio trattare di una fascia di persone che può comprendere anche alcune di quelle sopra menzionate, ma che è più difficile da categorizzare “a prima vista”, perché le peculiarità che le caratterizzano, sono a volte celate da altre qualità o connotazioni più evidenti.
Oggi parliamo di chi non si vuole “tantissimo” bene.
Immagino avrai sentito la frase: “Non puoi amare qualcuno se non ami prima te stesso”. La prima volta che l’ho letta ero ragazzina e mi sembrava strano immaginare che potesse esistere chi mostrasse comprensione, affetto e umanità nei confronti degli altri, ma non amasse se stesso in uguale misura.
Partivo anche dall’idea che l’egoismo fosse una specie di mostro da abbattere: se ascoltavo qualcuno dare dell’egoista ad un altro, la connotazione del giudizio era sempre e comunque negativa.
Solo anni dopo ho capito che l’essere “egoisti” sia quanto di più naturale possa esistere e non è affatto detto che sia una brutta cosa. Con l’età mi è stata più evidente la distinzione tra:
- chi tende a porre se stesso al di sopra degli altri senza rispetto, agendo esclusivamente per il proprio tornaconto;
- chi conosce il suo valore e pone, anche in questo caso, il suo interesse al di sopra del resto, comprendendo però in quello stesso interesse, valori ed esigenze altrui.
Questa seconda descrizione, a mio avviso, rappresenta un modello che dovrebbe valere per ciascuno di noi.
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Esiste però anche l’altro lato della medaglia: quello in cui il valore e il peso dell’“esterno” è più importante del proprio.
Non ti parlo solo di casi eclatanti di gente che si lascia andare, o che subisce passivamente prepotenze o ingiustizie; ma anche di chi, mostrandosi in alcune circostanze sicuro, altruista e di temperamento deciso, cada nella pericolosa spirale dell’anteporre sempre qualcun altro prima di sé.
Direi che si possa allargare ancora di più il cerchio e se ci pensi con attenzione, forse anche tu potresti rientrare (appieno o solo in parte) nella fascia di chi non si vuole sempre così tanto bene.
Pensa, ad esempio, a una persona a cui tieni e che conosci da un bel po’ di tempo. Quanto è facile per te valorizzarla, o comprendere i suoi stati d’animo, magari anche accettarne benevolmente i “difetti”? Questo è bellissimo ed è alla base di un rapporto di affetto sincero; ma la stessa cosa si può dire se parli di te?
Ti accetti e ti ami veramente per quello che sei? Il tempo che dedichi a coccolare o a gratificare la persona che ami, è maggiore o minore di quello che riservi a te?
Ragionaci un po’ su, perché spesso ci si scopre ad essere il più severo e intollerante giudice di se stessi.
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Questo accade in moltissimi casi e per diverse ragioni. Una di quelle più radicate si genera, per esempio, quando da piccoli (e a volte non solo da piccoli) si è abituati al concetto: “Ti voglio bene se… fai questo, non fai quest’altro, ti comporti così, ecc.”; vale a dire quando senti che l’amore degli altri è condizionato dai tuoi comportamenti meritevoli ai loro occhi. Ciò significa che sarai abituato, da bambino come da adulto, a sentirti “bravo” e degno di essere amato, solo se soddisferai determinati requisiti imposti dall’esterno, buttando ai rovi – a volte quasi automaticamente – i tuoi desideri e bisogni personali.
Stessa cosa dicasi per l’insicurezza che a volte si evidenzia nella necessità di compiacere qualcuno a discapito di se stessi.
Hai mai visto un tuo conoscente cambiare i propri pensieri o atteggiamenti, quando si trova in compagnia di determinate persone, fino al punto di negare il suo modo di essere o addirittura accettare umiliazioni o mancanze di rispetto?
Il punto è che a volte si è così assuefatti da questo modo di fare, che non ci si accorge del problema.
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Bene, come si può risolvere la questione?
Ecco alcuni suggerimenti: sarai tu, poi, a valutare quali sono i più adatti al tuo caso.
- Evita di frequentare persone che tendono a buttarti giù, a farti sentire “meno di loro”: ti sottraggono energia e autostima e rinforzano la propensione a sentirti inferiore e a metterti da parte.
- Lascia il passato dov’è: senza dubbio il tuo vissuto ha contribuito a formare il te di adesso, ma non costituisce il tuo presente. Anche i santi hanno un passato, ma questo non significa che non ci si possa elevare da quello e fare grandi cose della propria vita.
- Strettamente legato al punto precedente: impara a perdonare. Se non lo fai rischi di portarti sulle spalle il peso di tutto quello che non ha funzionato come volevi.
- Ogni volta che dici: “Io non posso”, rifletti bene se non stia invece a significare “Io non voglio sul serio”. Esempio: “Vorrei andare in palestra perché sento di averne bisogno, ma sai, non posso farlo perché mi manca il tempo”… possibile che in 24 ore non ce ne sia una da dedicare al movimento (magari anche in casa); o a volte il desiderio di fare qualcosa di buono per sé è meno forte delle scuse che si inventano per pigrizia o non curanza?
- Basta sforzarsi in tutti i modi di dimostrare agli altri che sei perfetto. Tu sei come sei, puoi e devi migliorarti in ogni circostanza accrescitiva; ma non devi necessariamente indossare la maschera del super-uomo (o super-donna, super-mamma, ecc.) e affliggerti per ogni segno di debolezza o imperfezione che mostri.
- Smetti di paragonarti agli altri. Semmai trova spunto in chi ritieni migliore di te in determinati ambiti, per accrescerti; ma parti sempre da te stesso e amati anche quando ritieni di fallire rispetto ad un’altra persona.
- Sii tollerante nelle tue cadute. Magari ci vuole un po’ di tempo, ma vivile come esperienze che ti hanno insegnato qualcosa e che – se prese dal giusto verso – ti hanno reso più forte.
- Dedicati tempo di qualità, senza intromissioni esterne non volute. A volte corriamo come criceti nelle ruote per concludere le mille attività giornaliere (lavoro, casa, figli, amici, doveri familiari…); ecco, ritaglia uno spazio della giornata che sia solo tuo, quello in cui fai qualcosa che ti piace e che ti gratifica.
- Rifletti onestamente: ci sono cose a cui sei abituato, che però ritieni non ti facciano bene? Se queste riguardassero non te, ma tuo figlio, o una persona molto cara, non vorresti che le allontanasse o smettesse di farle? Lo stesso dovrebbe valere per te. Nella maggior parte dei casi non si tratta di rinunce così “impossibili”, perché quando il tuo cervello capisce sul serio che qualcosa ti fa male, semplicemente, non gli interessa più. La facilità di questo cambiamento è direttamente proporzionale a quanto ti vuoi bene.
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Faccio un appunto doveroso: volersi bene non significa giustificarsi ad ogni costo, oppure compatirsi o autocommiserarsi. Questa è solo una scusa per non reagire in modo costruttivo di fronte a ciò che ci capita. Lo stimolo al miglioramento, come scrivevo poco sopra, è necessario, purché sia genuino e consapevole. Imparare a osservarti amorevolmente e senza giudizio, ma valutando te nel complesso e tutto quello che di buono hai raggiunto e che puoi ancora apprendere, significa diventare alleato di te stesso.
La chiave semplice di lettura è una sola: tutto quello che vuoi e che dai alla persona che ami di più, devi volerlo e darlo anche a te.
Questo diventa un imperativo nei rapporti sani, anche verso se stessi, perché laddove ci sia uno squilibrio – da un lato come dall’altro – si genera un processo che può arrivare a rovinare quel rapporto e, cosa ancora peggiore, demolire il tuo amor proprio.
A volte bastano piccoli gesti che riportino alla mente, come recita una frase di Carlo Alfieri, che tu sei la persona con cui passerai la maggior parte della tua vita… amarti mi sembra il minimo.